Brano del 1971, singolo estratto da “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”.
Definito “il cantautore degli emarginati” o “il poeta degli sconfitti” per la sua tendenza a parlare nelle sue canzoni degli umili, dei poveri, a descrivere le vite di ribelli, emarginati, tossicodipendenti, alcolizzati, prostitute, transessuali, i “diversi”, più in generale coloro che “viaggiano in direzione ostinata e contraria col loro marchio speciale di speciale disperazione”. Erano questi gli “eroi” dei testi di De André coinvolti in romantiche disfatte, magnifiche illusioni e feroci ingiustizie. Egli rinviene tratti nobili in ognuna di queste categorie al contrario dei più che riuscivano a vederne solo i tratti disdicevoli, e, nel farlo, fa emergere quelli più ignobili e ipocriti dei loro accusatori. “De André ha cantato tutto quello che l’Italia democristiana non avrebbe voluto udire” (cit)
Il Giudice del brano di Faber è tormentato dalle prese in giro rivoltegli da tutta la vita a causa della sua bassa statura (157 centimetri) per cui, non potendo essere fisicamente alto guadagna, seppur a fatica, una statura sociale di tutto rispetto che gli conferisce, a un certo punto, il potere di decidere circa le sorti di chi in passato lo aveva deriso. Alla fine del componimento egli ammette di aver preferito la condanna all’assoluzione spinto da una sete di giustizia di carattere personale invece che sociale.
Il personaggio diventa carogna perché la gente lo porta a diventare tale, è un parto della carogneria generale, emblema della cattiveria della gente. Si entra in un circolo vizioso in cui la cattiveria genera altra cattiveria che porta, in questo caso, il personaggio a diventare ciò che non è e quindi a volersi vendicare nei confronti di chi in passato gli ha fatto del male.
Anche Il nano Giudice può essere annoverato, insieme allo scemo del villaggio, in una delle categorie cantate da De André, quella degli “emarginati”, che vengono osservati dalla gente e derisi.
Potremmo non avere più De André uomo in carne ed ossa, un signore con i capelli lisci con in mano una chitarra e un’immancabile sigaretta che, con fare timido e con parole lapidarie, introduce le canzoni durante le sue esibizioni dal vivo, ma i suoi testi così imbevuti di poesia e attuali al tempo stesso costituiscono il patrimonio più grande che egli ci ha lasciato.
Testo:
“Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura?
ve lo rivelan gli occhi e le battute della gente,
o la curiosità di una ragazza irriverente
che vi avvicina solo per un suo dubbio impertinente
vuole scoprir se è vero quanto si dice intorno ai nani
che siano i più forniti della virtù meno apparente
fra tutte le virtù la più indecente.”
“Passano gli anni, i mesi e se li conti anche i minuti,
è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti.
La maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo,
fino a dire che un nano è una carogna di sicuro
perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del c..o.”
“Fu nelle notti insonni vegliate al lume del rancore,
che preparai gli esami, diventai procuratore.
Per imboccar la strada che dalle panche d’una cattedrale,
porta alla sacrestia
quindi alla cattedra d’un tribunale,
Giudice finalmente: arbitro in terra del bene e del male.”
“E allora la mia statura non dispensò più buon umore
A chi alla sbarra in piedi mi diceva “vostro onore”,
e di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio,
prima di genuflettermi nell’ora dell’addio,
non conoscendo affatto la statura di Dio.”