“Non abbiamo bisogno di eroi, serve però tenere sempre viva la capacità di vergognarsi per il male altrui, di non voltarsi dall’altra parte, di non accettare le ingiustizie”
Liliana Segre ha compiuto da poco otto anni quando, nel 1938, con l’emanazione delle leggi razziali, le viene impedito di tornare in classe: alunni e insegnanti di «razza ebraica» sono espulsi dalle scuole statali, e di lì a poco gli ebrei vengono licenziati dalle amministrazioni pubbliche e dalle banche, non possono sposare «ariani», possedere aziende, scrivere sui giornali e subiscono molte altre odiose limitazioni. È l’inizio della più terribile delle tragedie che culminerà nei campi di sterminio e nelle camere a gas.
In questo dialogo, Liliana Segre e Gherardo Colombo ripercorrono quei drammatici momenti personali e collettivi, si interrogano sulla profonda differenza che intercorre tra giustizia e legalità e sottolineano la necessità di non voltare mai lo sguardo davanti alle ingiustizie, per fare in modo che le pagine più oscure della nostra storia non si ripetano mai più.
Liliana Segre è nata a Milano, di famiglia ebraica. La piccola è espulsa dalla scuola a soli otto anni, a seguito dell’intensificarsi delle leggi razziali in Italia. Nel 1943 la famiglia cerca di sfuggire in Svizzera, ma viene respinta dalle guardie di frontiera: il giorno dopo lei e il padre vengono arrestati in provincia di Varese. A soli 13 anni, Liliana Segre viene internata nel campo di concentramento di Auschwitz, dal quale verrà liberata nel 1945. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati a Auschwitz, Liliana è tra i soli 25 sopravvissuti. Per molto tempo non ha voluto parlare della propria esperienza, quando, a metà degli anni ’90, ha cominciato a girare per le scuole a raccontare quegli anni terribili. Le sono state conferite due lauree honoris causa (in Giurisprudenza e in Scienze Pedagogiche) e nel 2004 è stata insignita del titolo di Commendatore della Repubblica, su iniziativa di Carlo Azeglio Ciampi.