… ovvero il sogno americano nato dal passato di sopraffazione e violenza, ma anche dal presente colmo di individualismo sfrenato e corruzione.
Le acque del fiume che scorre tra i Monti Appalachi si sono tinte di rosso. Non è solo il rosso del fango. È il sangue versato dai nativi indiani, una carneficina che resta una ferita e una macchia indelebile nella storia d’America. Nello stato dei Rem, la Georgia, si era consumata una delle pagine più crudeli di quello sterminio, la Marcia delle Lacrime (1838-39), durante la quale tredicimila indiani furono costretti a rifugiarsi a ovest del fiume Mississippi, percorrendo oltre 1.500 chilometri: un quarto di loro morì per il freddo e la fame. “C’è una mancanza di storia che è la versione americana del senso di colpa cattolico”, dirà Stipe, la cui bisnonna era un’indiana Cherokee, al giornalista inglese Jon Savage nel 1989. “Credo ci sia qualcosa che non quadra nel sogno americano. La gente non viene informata dell’annientamento della cultura degli indiani a cui apparteneva questa terra”.
Le acque del fiume Ohio, invece, sono state avvelenate dalle scorie industriali dei nuovi americani, che in nome del progresso stanno distruggendo la natura.
Mentre l’America si culla nel sogno reaganiano, i Rem scuotono le coscienze con una ballata che è un atto d’accusa, ma soprattutto un incitamento alla militanza attiva contro tutte le ingiustizie. “Uniamo le nostre menti e costruiamo un nuovo paese”, urla Stipe. Uno slogan politico a tutto tondo (anche se, stando a un’altra interpretazione, la frase potrebbe alludere invece alla ricostruzione dell’identità nazionale avvenuta proprio sulle macerie della civiltà indiana).
Let’s put our heads together and start a new country up
Our father’s father’s father tried
Erased the parts he didn’t like
Let’s try to fill it in, bank the quarry river, swim
We knee-skinned it you and me, we knee-skinned that river red
(Uniamo le nostre menti e costruiamo un nuovo paese
Il padre del padre di nostro padre ci ha provato
Ha cancellato le parti che non gli piacevano
Cerchiamo di ricostruirle, arginiamo il fiume, nuotiamo
Ci siamo spellati le ginocchia io e te, abbiamo tinto di rosso il fiume)
Il vecchio fiume Cuyahoga che scorre lungo l’Ohio, passando da Cleveland fino al lago Erie, attraversa un territorio che storicamente apparteneva agli indiani d’America. Era la culla di quell’antica civiltà, ma i bianchi l’hanno strappato loro con la violenza, bagnandolo del loro sangue e inquinandolo al punto da trasformarlo in una polveriera. Per Buck, è “la metafora dell’America e delle sue promesse perdute”.
Underneath the river bed we burned the river down
This is where they walked, swam, hunted, danced and sang
Take a picture here, take a souvenir
Cuyahoga
Cuyahoga, gone
(Sotto il letto del fiume abbiamo bruciato il fiume
È qui che camminavano, nuotavano, cacciavano, danzavano e cantavano
Scatta una foto, prendi un souvenir
Cuyahoga
Cuyahoga, scomparso)
Il ricordo dolente del fiume in agonia assume quindi i toni irati dell’invettiva. Contro coloro che stanno riscrivendo il libro della storia, incuranti delle loro colpe.
Rewrite the book and rule the pages, saving face, secured in faith
Bury, burn the waste behind you
(Riscrivi il libro e metti in ordine le pagine, salvando la faccia, sicuro della tua fede
Seppellisci e brucia i rifiuti dietro di te)